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140 parte prima - capitolo xvii


con gli adulti, ma fare innamorare i giovani di certe veritá e di certe bellezze, e innamorati che sono faranno da sé e faranno davvero. La polizia mi sorvegliò un pezzo. e come vide che io non mi occupavo che di studi, e che lavoravo da mattina a sera, e non andavo in pubblici ritrovi, e non parlavo di cose pubbliche, e non pubblicavo alcuna scrittura, disse: «L’abbiamo ammaccato: faccia il maestro di scuola per vivere». Non mi vedevano, non udivano il mio nome, mi dimenticarono. Questo io volevo.

Cosí vissi sino al 1848. Di me dunque io non ho a parlare, ma del mondo che mi stava intorno, e del gran dramma che si svolse innanzi agli occhi miei.

Il soldato, il prete, ed il maestro di scuola sono i soli uomini che fanno le rivoluzioni: il soldato ed il prete hanno sinora comandato il mondo, il maestro di scuola attende la sua volta, la quale verrá quando il mondo sará guidato non dalla forza né dal sentimento, ma dalla intelligenza: e pare che si avvicini perché oggi, risorgendo il popolo, prevale il maestro che deve sollevarlo con la scuola. Gli uomini che fanno il mestiere di soldato, di prete, e di maestro di scuola sono pochi e male retribuiti dell’opera loro: chi può degnamente retribuire il soldato, il buon prete, il maestro che educa ed istruisce? E il mondo stima poco quello che paga poco, e però tiene questi uomini in poco pregio. E veramente chi vuol fare uno di questi mestieri per solo fine di guadagno lo fa male, ed è meritamente spregevole: perché senza una grande abnegazione, senza un grande animo, e senza poesia non si è bravo soldato, non si è buon prete, non si è maestro ed educatore degli uomini. Io l’abnegazione, l’animo e la poesia le sentiva in me, e però credevo e credo di esercitare professione nobilissima, necessaria a la mia patria, e dirò ancora principale nella presente condizione dei tempi; io aveva chiara coscienza di quello che facevo, e sapevo di mettere anche la mia mano ad una grande opera. La rivoluzione del ’48, si disse, fu fatta dai maestri di scuola, i quali, come non avvezzi, sbagliarono, ma si corressero nel ’60: io dico che la