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la rivoluzione del 1848 177


sando le redini e flagellando i cavalli, si fece dar la via terribilmente, e corse per la cittá. Per tutta la via Toledo si vedevano carrozze e carri con sopra ogni condizione di persone che agitavano bandiere e gridavano: e tra gli altri su di un carro vedevasi don Michele Viscusi vestito da popolano tra dodici popolani che rappresentavano i dodici quartieri della cittá, e tenevano ciascuno un gran cartello sul quale era scritto il nome ed il vanto del quartiere1. La sera non interruppe le furiose feste ed il corso che durò gran parte della notte: i balconi tutti illuminati, i cittadini sui cocchi o a piedi agitavano torchi accesi, gridavano, si abbracciavano fra loro chiamandosi fratelli, abbracciavano soldati, gendarmi, birri. Il popolo minuto ed i fanciulli non sapendo che dovevano dire, e pur volendo gridare, e forse beffare, ripetevano «Vivooo,» voce senza idea, come senza idea era per essi quel mutamento di cose. Ma non si può dire che sentimento si provava all’udire molti popolani gridare: «Viva Italia! noi siamo italiani!» Quella parola Italia che prima era profferita da pochi ed in segreto, quella parola sentita da pochissimi e che era stata l’ultima e sacra parola profferita da tanti generosi che morirono, udita allora profferire e gridare dal popolo mi faceva

  1. Michele Viscusi, nato di civile condizione, piacevole, arguto, e beffardo, come napolitano, prese a predicare al popolo, e spiegargli che cosa fosse la costituzione. Il nostro popolo aborriva questo nome di costituzione, perché non intendeva altro che o re o repubblica, e ricordava i mali sofferti dal 1820, la venuta degli austriaci, le morti, le condanne, le rovine di molte famiglie. Andava don Michele nelle piazze piú popolose, e montato in alto parlava ad una gran moltitudine, che lo interrogavano, e gli rispondevano. «Sapete che è la costituzione? È come il giuoco del tocco. Il re è padrone del vino, e se lo può bere tutto se ha stomaco, ma se ne vuol dare ad altri deve avere il permesso del sotto-padrone che è il parlamento». «La costituzione è come una rota di carro: il re sta in mezzo ed è il mozzo: i ministri sono i raggi, e il parlamento è il cerchio di ferro che stringe in mezzo ogni cosa. E cosí la rota cammina». «Don Miché, e addò cammina?» «Mappata di f...! ncoppa a le spalle noste». «Embè?» «Embè che? Mo sentimmo lo círchio, primma sentevamo le pponte che ce trasevano dinto a le costate». «Viva don Michele!» Quest’uomo viveva con una donna che era la sua croce: gelosa, capricciosa, indomabile. Un giorno andò su le furie e corse ad un balcone per precipitarsi giú. Don Michele l’afferra per la vita, la trattiene, la calma: poi scende giú su la via, la chiama, ella si fa al balcone, ed egli le dice: «Ora se volete, madama, servitevi pure».
L. Settembrini, Ricordanze della mia vita - i. 12