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la rivoluzione del 1848 179


rivoluzione di Napoli cominciò con l’agitare de’ fazzoletti, crebbe con le grida e le chiacchiere, doveva finire con le schioppettate.

Il 24 febbraio fu solennemente giurata la costituzione dal re nella chiesa di San Francesco di Paola che è dirimpetto la reggia. Il re vi andò a piedi tra due file di guardie nazionali, e vedendo tra queste un giovane Michele de Chiara che aveva la coccarda tricolore e gli andava da presso, gli disse: «Togliti cotesta coccarda: non sono i colori napoletani». Il giovane se la cavò, e la pose in tasca. Giurò il re a voce alta, giurarono i principi reali, tutti gli alti uffiziali dello stato, e le milizie: molti siciliani che avevano uffici civili o militari in Napoli non vollero giurare, dicendo non sapere quale costituzione avrebbe la Sicilia. Furono altre feste ed allegrezze, ma i vecchi scrollavano il capo e dicevano: «Ha giurato, e spergiurerá come il nonno Ferdinando I».

Dopo due giorni viene un corriere che chiede parlare al re e dargli un dispaccio: il maggiordomo dimanda: «Che novelle?» «Rivoluzione a Parigi, fuga di Luigi Filippo, repubblica in Francia». «Madonna santissima!» gridò il maggiordomo e svenne. Questo fatto mi fu narrato da Carlo Poerio. Fu uno spavento, e molti dicevano tornare il 1793, ma gli anni non tornano, come gli uomini non rinascono.

Intanto il pensiero piú grave che occupava tutti era la Sicilia che rifiutava lo statuto napoletano del 10 febbraio, e rispondeva sempre volere la sua costituzione del 1812 accomodata ai tempi dal suo parlamento, voler essere un regno tutto diviso, indipendente, con un viceré che fosse o príncipe reale o cittadino siciliano, ed avesse poteri amplissimi, che i ministri sarebber nominati dal re ma stessero in Palermo, non piú milizie napoletane in Sicilia; che per gli affari comuni ai due regni sarebbe una commissione mista scelta tra i membri di ciascun parlamento. Queste condizioni parevano dure non pure al re, ma a parecchi napoletani e italiani, i quali dicevano e stampavano che la Sicilia separandosi da Napoli si separava dall’Italia, che questo sicilianismo era gretto, era