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Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. I, 1934 – BEIC 1926061.djvu/195

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XXI

Segue la rivoluzione sino al 15 maggio.

La cittá era stranamente disordinata, senza autoritá di magistrati civili o militari, i ministri, non trovandosi ancora i successori, rimanevano al loro posto per ispedire gli affari piú necessari. Voci molte, ma nessun fatto reo. Dicevano mille cose: e chi potrebbe ridire tutti i propositi e gli spropositi di quei cervelli bollenti? Fu pubblicato un programma politico che brevemente manifestava i desideri popolari, e ne fu detto autore il Saliceti. Riformare lo statuto; abolire la Camera dei pari, nome ed istituzione francese, che piaceva soltanto ai grandi ed ai nobili; riforma della legge elettorale, per iscegliere deputati non quelli soli che avevano censo, ma quanti erano capaci per ingegno e per esercizio di professione o arte liberale; mandare commessari nelle province con pieni poteri; la Camera de’ deputati dover riformare lo statuto, guerra all’Austria, spedire immediatamente milizie e volontari in Lombardia.

Tornava allora in Napoli il generale Guglielmo Pepe, giá guidatore sfortunato dell’esercito napoletano nel 1821, esule onorato per ventisette anni. Accolto dal re con molte carezze ed onoranze, gli disse: «Guidate voi stesso l’esercito, che vi conosce e vi ama: andate voi in Lombardia, ché li vincendo, come è certo, voi vincerete la Sicilia, e accheterete i tumulti di Napoli». «Ma andare senza prima far patti con Carlo Alberto?» «Che patti! chi piú fará piú avrá: col vostro esercito vittorioso li detterete voi i patti. L’importante è vincere e scacciare gli austriaci, e chi piú presto si muove piú certo vince». «Cotesto e l’importante», disse il re, e sorridendo mutò discorso. Si parlò del ministero, e il re lo pregò di trovargli