Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. I, 1934 – BEIC 1926061.djvu/197

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segue la rivoluzione fino al 15 maggio 191


la reggia, e di gridare: «Abbasso il programma di Saliceti, viva lo statuto, viva la Camera dei pari»: la guardia nazionale non vuole, ed ebbe senno, perché sarebbe nato un conflitto. Quel bollore si acchetò: ma tutti erano stanchi, tutti sentivano il bisogno che cessasse quel disordine, quel tumulto continuo che si diffondeva nelle piazze, nelle case, e persin nella reggia, tutti volevano un governo pur che fosse, un ministero che facesse cessare quella stomachevole anarchia. Il buon Troya chiamò altri, e dopo molte chiacchiere compose un ministero cosí: esso Troya, presidente del consiglio, il marchese Luigi Dragonetti, agli affari esteri, Giovanni Vignali a grazia e giustizia, il generale degli Uberti ai lavori pubblici, il generale Raffaele del Giudice alla guerra e marina, il conte Pietro Ferretti anconitano, alle finanze, l’avvocato Giovanni d’Avossa all’interno, pochi giorni dopo, in luogo dell’Avossa ammalato, fu Raffaele Conforti, all’agricoltura e commercio il giovine professore Antonio Scialoia, all’istruzione pubblica Emilio Imbriani, agli affari ecclesiastici l’avvocato Francesco Paolo Ruggiero. Il re accettò tutti questi ministri, ed il loro programma pubblicato il 3 aprile, ed era questo: «Il censo de’ deputati eguale a quello degli elettori; poteva essere deputato ogni uomo di capacitá anche senza censo; i collegi elettorali proporre i pari, il re sceglierne cinquanta; le due Camere di accordo col re avessero facoltá di svolgere lo statuto massime riguardo ai pari; inviare ministri per stringere la lega italiana; mandare subito un grosso nerbo di milizia a la guerra contro l’Austria, incontanente un reggimento per mare: i tre colori a le bandiere; affrettare l’armamento della guardia nazionale; mandare commessari ordinatori nelle province». Il re lesse e rilesse molte volte il programma, ad ogni articolo fece difficoltá protestando sempre che egli era per mantenere lo statuto, ed alla parola svolgere fece molto rumore, la ricercò nel vocabolario, disse che quello svolgere significa mutare, e che egli non voleva né poteva mutar niente; discusse un pezzo, uscí piú volte della camera dove si trovava, quasi cercando consiglio dentro, dove dissero che