Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. I, 1934 – BEIC 1926061.djvu/22

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16 parte prima - capitolo iii


mattina in chiesa servire a messa come un sacristano; ed ogni domenica radunava tutti i suoi impiegati, se li menava dietro come pecori, e tutti in chiesa a cantare l’ufficio della Vergine, udire un paio di messe ed una predica: e guai a chi mancava! Mi pare ancora di vederlo quel figuro d’intendente con tanto di bocca spalancata cantare salmi e volgersi intorno, e farsi crocioni con la mano che parea giuocasse di spadone.

Io dunque seguitavo ad udir prediche ed orazioni, ma gli occhi di quella fanciulla mi dicevano qualche altra cosa, dentro di me sentivo un’altra voce, i libri che leggevo mi svelavano un mondo nuovo. E mio padre con savie parole, col suo esempio, e con buoni libri che mi dava a leggere mi andava sfratando interamente. Egli aveva alcuni giornali forestieri, e leggeva e mi spiegava quei nobilissimi fatti che allora avvenivano in Grecia, e mi diceva: «Lí c’è uomini. Dimmi, vorresti esser frate, e non un Marco Bozzari? Non è morto egli glorioso martire di Cristo e della patria? Non vorresti tu morire cosí? Ah, figliuolo, questa che tu vedi fra noi non è religione, ma superstizione, ma arte di tirannide per ispegnere proprio l’anima. L’uomo generoso ama la patria e si adopra per lei in fatiche onorate, non in ozio di convento». A queste spronate io m’impennavo come un puledro, e avevo sempre innanzi a la mente Marco Bozzari nel campo dei Turchi, e sentivo ripetermi all’orecchio il grido di Costantino Canaris nel canale di Scio: «Vittoria a la Croce», e pigliavo la carta geografica, e stavo le ore intere a guardare la Grecia, e mi girava pel capo tutta la storia antica e quello che udivo della moderna.

Avevamo un nostro vicino, a nome don Angelantonio de Spagnolis, un dabbene uomo che parlava sempre latino, ed aveva una serqua di figliuoli tra maschi e femmine; e noi altri si andava da loro, ed essi da noi. Il primo di questi figliuoli, a nome Salvatore, aveva qualche ingegno ed era mio compagno di scuola, e andavamo insieme da un maestro che era dotto, ma pregiava piú un fiaschetto di vino che il poema di Virgilio, e ci faceva lezione mezzo addormentato.