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tre giorni in cappella 249


e dispettosi pensieri, non comprendendo questi indugi, e poi questa subita venuta, torna il custode maggiore e dice: «Il commessario vuole fuori i signori Agresti e Settembrini: levatevi, venite». Salvatore rispose: «Ed io non son degno di essere chiamato dal commessario?» E non disse piú. Un terribile lampo mi venne alla mente, guardai il povero Salvatore, e sostenuto da due chiamatori, uscii in quella stanza dove il sabato avevamo aspettato un’ora. Vi trovai il commessario, molta gente, ed il procurator generale, il quale vedendomi divenne pallidissimo, e mi disse: «Don Luigi... in questo stato!» Io fiutando del tabacco che aveva tra le dita risposi: «Son sereno come il primo giorno». Egli rivolse la faccia quasi per celarmi il suo dolore: poi volto ai custodi comandò mi togliessero i ferri. Dovetti sedermi a terra, e mentre mi sferravano, io gli dimandai: «E Faucitano?» Egli si restrinse nelle spalle: ed io dissi: «Povero Salvatore, ha sette figli!» Tutti stavano muti, e mi guardavano. Poiché mi furon tolti i ferri, mi levai, e dissi: «Finalmente son padrone delle mie gambe!» Venne Filippo portato in braccio da un chiamatore e fumando; gettò il sigaro, fu sferrato anch’egli, e non disse altro che: «Gli abiti sono indecenti, ma io non ci ho che fare». Il procurator generale ci fece rientrar nella stanza che prima occupavamo, e volle vederci rivestire de’ nostri panni. Filippo disse che la chiave dei suo baule l’aveva Vincenzo Esposito, che subito fu mandato a chiamare, e venne, e senza badare ad altri ci abbracciò inondandoci di lagrime. Mentre Filippo si rivestiva il procurator generale stringendo le labbra e dimenando il capo mi guardava fiso, ed io lui senza far motto. Non so che cosa allora sentiva e pensava, ma mi pareva commosso molto. Poiché ci vide rivestiti disse: «Per ora non posso dirvi nulla; spero di ritornare». Ci salutò ed andò via con tutti gli altri.

Rimanemmo soli con Vincenzo che non si saziava di abbracciarci e di piangere: e ci narrava il dolore de’ compagni e specialmente dei carissimo Michele quando ci dividemmo, e quanto vide i nostri panni. «In tutto Napoli, in tutto il carcere