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42 parte prima - capitolo vi


nulla: era l’idolo degli studiosi: egli rappresenta la grande idea della nostra nazionalitá, egli il pensiero, l’ingegno, la gloria, la lingua d’Italia. Ci era un altro idolo per la moltitudine. Fino allora era stato peccato mortale il pur nominare Napoleone, e di soppiatto girava un libretto intitolato Il prigioniero di Sant’Elena, e di rincontro al frontespizio era un paesaggio, e tra due alberi lo spazio bianco figurava il ritratto di Napoleone, che a prima vista non si discerneva. Allora fu tolto l’interdetto, e di Napoleone si poté parlare, e scrivere, e dirlo italiano, e averne ritratti, e ognuno ne volle in casa sua un’immagine di gesso, o a stampa, o dipinta. Si ricordava che quell’uomo aveva operato maraviglie, schiacciata l’Austria, dato a noi nuovo codice e principe non codardo; vivevano ancora molti che avevano combattuto le battaglie dell’impero, e le raccontavano; sicché i giornalisti non rifinivano mai di scriverne, e Cesare Malpica aveva quasi una monomania napoleonica, e sciorinava una serie di descrizioni di quelle grandi battaglie. Né questo scrivere guerresco dava ombra, anzi piaceva al re, che si teneva un napoleoncino, e lasciava se ne sfogassero dopo tanti anni di silenzio, essendo giá passato il pericolo, Napoleone morto da un pezzo, e gli scrittori non altro che parolai. Gli uomini di piú tempo e cognizioni scrivevano nel Progresso, opera periodica nella quale rimane una parte del nostro sapere in quegli anni. Il ministro Santangelo faceva scrivere gli Annali Civili, opera non ispregevole, ma scritta da uomini che piegavano la scienza alla volontá del governo. In molte cittá di provincia si scrivevano altri giornali. La sostanza di tutte quelle scritture era poca e magra, ma in mezzo alle cose anche frivole appariva di tanto in tanto un lampo di amor patrio, un gran pensiero che non poteva spiegarsi intero nella sua forma perché mancava la libertá, e veniva fuori a squarci ed a pezzi.

Fra tanti che scrivevano potevo scarabocchiare qualcosa anch’io: ma ero giovane, sapevo poco, avevo un certo pudore, e dicevo fra me: «Stampare! farsi maestro agli altri! ma bisogna avere il sacco pieno, e dir cose serie e non frasche!»