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l'universitá 57


ed ai giovani: era cote non rasoio. Eppure se avesse scritto come ei parlava, con quei motti, con quei frizzi, quelle ire subite, e poi quell’abbandono e quella bonarietá tutta sua, sarebbe stato piacevolissimo: ma la troppa arte lo impacciava, lo rendeva un altro uomo quand’ei scriveva, e non ti pareva piú napoletano. Lo deridevano come purista e cruscante, ed egli sprezzò anche la beffa che pochi uomini sogliono sprezzare, si circonddò di giovani che lo amarono assai, e fondò una scuola che ebbe gran nome e fece gran bene. Quelli stessi che prima lo sfatavano, cominciarono a vergognarsi del sozzo ed infranciosato scrivere, riconobbero la necessitá di correggersi, accettarono una parte delle sue dottrine: ed egli profittando della costoro opposizione andò temperando il suo rigore. Cosí avviene di ogni dottrina che prima nasce direi quasi angolosa ed immaneggiabile; e poi a poco a poco va accomodandosi a la necessitá dei tempi. Ci è ancora chi lo chiama pedante: eppure la pedanteria è un santo rigorismo in mezzo alla licenza, ed ha un profondo significato nella storia del pensiero. Per me io credo ed affermo che la sua scuola in fatto di lingua ne seppe piú che ogni altra in Italia, e che tra noi se vi fu e vi è gusto di buona lingua, tutti direttamente o indirettamente ne sono obbligati a lui. Rarissimo uomo, chi lo conobbe da vicino ne amerá sempre la memoria.

Mi ricorda la prima volta che lo vidi. Senza raccomandazioni me gli presentai cosí a la buona, tirato da la fama della sua bontá e del suo sapere.

Lo trovai fra una dozzina di giovani in una stanza dove non era altro arnese che libri negli scaffali, su le tavole, su le seggiole; ed in un canto v’era il suo letto dietro un paravento. «So che amate i giovani, io gli dissi, ed io desidero farmi amare da voi». «Bravo, giovanotto; se vuoi studiare saremo amici. Vediamo quello che sai: spiegami un po’ degli Ufficii di Cicerone». Spiegai, risposi a varie dimande: «Bene, batti sul latino ogni giorno: ogni giorno una traduzione dal latino, e una lettura d’un trecentista. Nulla dies sine linea». E mi accettò tra i suoi scolari. Ei non viveva che di studi,