Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. I, 1934 – BEIC 1926061.djvu/62

Da Wikisource.
56 parte prima - capitolo vii


al concorso parecchi, fra i quali il Puoti, e il poeta Gabriele Rossetti. Il tema fu: scrivere un comento italiano ad un sonetto del Petrarca, ed una dissertazione latina sopra non so qual secolo della nostra letteratura. La benedetta dissertazione latina decise il merito. Il Bianchi professore in un collegio, avendo abito e facilitá di scrivere in latino, potè dire agevolmente tutto quello che sapeva, dove che gli altri piú o meno impacciati dalla lingua dissero meno di quello che sapevano: onde giudicati imparzialmente su gli scritti, il Bianchi ebbe il primo luogo, e l’ultimo toccò al povero Rossetti, che fece qualche errore di grammatica, tutto che avesse quell’ingegno e quella beata vena di poesia. Tutto questo me lo narrava il Bianchi, e dimostra come nel concorso non apparisce il migliore.

Il Puoti escluso dall’uffizio pubblico, si messe privatamente a fare quel bene che si era proposto, a ristorare la lingua giá guasta e imbarbarita. Voi sapete che quando un popolo ha perduto patria e libertá e va disperso pel mondo, la lingua gli tiene luogo di patria e di tutto; e che quando gli ritorna il pensiero e il sentimento della sua passata grandezza, la lingua ritorna appunto all’antico. Sapete che cosí avvenne in Italia, e che la prima cosa che volemmo quando ci risentimmo italiani dopo tre secoli di servitú, fu la nostra lingua comune, che Dante creava, il Machiavelli scriveva, il Ferruccio parlava. Sapete infine che parecchi valenti uomini si diedero a ristorare lo studio della lingua, e fecero opera altamente civile, perché la lingua per noi fu ricordanza di grandezza di sapienza di libertá, e quegli studi non furono moda letteraria, come ancor credono gli sciocchi, ma prima manifestazione del sentimento nazionale. Ora tra questi valenti uomini fu il marchese Basilio Puoti, il quale lasciato il titolo, la primogenitura, e il governo della famiglia al suo fratello minore, si messe ad insegnare gratuitamente le lettere e la lingua d’Italia. Egli non era uno scrittore, non aveva concetti nuovi e grandi, e arte di tirare a sé i leggitori; ma era un solenne maestro, aveva giudizio retto, gusto squisito, amore grande agli studi