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l'arresto 85


un console o del dittatore valicare le Alpi, cingere Vienna, e piantare su quei baluardi la nostra bandiera negra». I due amici non avevano fiatato, non m’avevano interrotto, e quando io ebbi finito mi si gettarono tra le braccia e mi strinsero forte.

Essi furono i primi affiliati a la setta che io feci in Catanzaro.

Per avere da Napoli le novelle politiche, e per ragguagliare il mio amico Musolino di ciò che io facevo, ci scrivevamo lettere con caratteri invisibili, le quali andavano e venivano per la posta con poca prudenza. Non mi domandate che cospirare era quello, e che fine io avevo.

Cospiravo perché non sapevo starmi cheto tra gli oppressi, né mettermi tra gli oppressori, perché rimanermi inerte mi pareva codardia.

Cosí passarono gli anni 1837 e 1838. Ma tosto ci fu un traditore.

Un prete mio amico G. L. volle che io conoscessi il parroco di un paesello chiamato Crichi, col quale ei mi disse che s’erano allevati insieme in seminario, e che era liberale e bravo, e si chiamava Nicola Barbuto. Quando io vidi questo parroco Barbuto sentii certa ripugnanza per lui, e mia moglie con quel fino senso che hanno le donne lo temeva come un nemico, che egli era brutto e nero come un topo e aveva il labbro leporino; pure io lo accolsi e gli feci dare un catechismo. Dopo alquanti giorni mi disse dover andare per sue faccende a Cosenza e poi a Napoli, e mi chiese lo raccomandassi a qualche persona. «Dagli pure le lettere», mi disse G. L., «e non dubitare della sua bruttezza». Io gliene diedi una per Raffaele Anastasio, farmacista in Cosenza, ed una pel Musolino in Napoli. Poi che il parroco fu partito sapemmo che egli aveva pariato piú volte con l’intendente, e io cominciai a sospettare, e ricordare la sua aria, i suoi occhi, e certo suo smarrimento quando mi chiese le lettere. G. L. non poteva darsi pace: io scrissi subito all’Anastasio ed al Musolino che si guardassero, e stetti in guardia per me. Tutto