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86 parte prima - capitolo xii


questo avvenne perché io non sapevo bene l’arte del cospirare, fidavo troppo negli amici, e non ricordavo la prescrizione del catechismo, uno con uno e non piú! Il reverendo parroco aveva rivelato ogni cosa all’intendente, che lo mandò al ministro in Napoli, perché egli aveva accusato me solo, temendo del prete che era paesano e poteva col tempo fare una vendetta calabrese. Non timore di Dio né fedelta al principe, ma desiderio di farsi ricco e potente spinse quest’uomo, che vedendo come la grazia di Dio gli fruttava poco, volle la grazia del governo.

La notte dell’8 maggio 1839 mentre io dormivo mi fu accerchiata la casa da gendarmi e poliziotti, i quali in nome della legge entrarono, messero sossopra carte libri masserizie, mi rubarono parecchie cose e fra le altre un paio di orecchini di mia moglie che parevano di diamanti. Intimarono a tutti di vestirci ed uscire: e chiusero la casa, e portarono via la chiave. Mia moglie con Alessandro che portava il bambino in collo fu condotta in casa di mio fratello Peppino; io accerchiato da birri fui condotto nel quartiere dei gendarmi, dove condussero anche il giovanetto Alessandro. Dopo ventiquattr’ore Alessandro fu liberato, e mia moglie tornò in casa, dove alla sua presenza fu fatta un’altra ricerca minutissima, e non trovarono nulla, e presero alcune carte per prendere qualche cosa. Io rimasi nel quartiere otto dí, guardato a vista da gendarmi che non mi lasciavano mai solo né la notte né il giorno. Tra quei gendarmi era un giovane bello di aspetto e di umore piacevole, il quale mi disse: «Voi siete professore, ed io voglio insegnare a voi una cosa, e ricordatevela: i nemici dell’uomo sono tre, carta, calamaio, e penna».

All’alba dell’ottavo giorno mi fecero montare a cavallo fra quattro gendarmi, e mi condussero a Tiriolo, paese che è su la grande strada delle Calabrie. Cavalcando passo passo sento di dietro venire correndo un altro cavallo, mi volto e vedo mio fratello Giovanni: i gendarmi gli vietarono avvicinarsi, ed ei porse loro del danaro per me, mi salutò mestamente, e tornossene. Stetti in Tiriolo sino a la mezza notte: