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Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. I, 1934 – BEIC 1926061.djvu/93

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l'arresto 87


in quell’ora giunse la diligenza, ed io vi montai con un solo sergente a nome Failla, che condusse anche sua moglie. Prima di entrare in diligenza egli mi disse: «Signore, debbo condurvi in Napoli, e son dolente di adempiere questo dovere, ma capite che è dovere. Potrei condurre con me altri gendarmi, potrei mettervi le manette, ma io fido in un galantuomo. Mi date la vostra parola che non fuggirete?» «Sí, vi do la mia parola». «Posso esser sicuro?» «Piú che se mi conduceste in mezzo ad un reggimento». «Va benissimo». E veramente ei mi fu molto cortese, non volle accettar danari che gli offrii, mi trattò con rispetto, e la moglie parvemi una buona donna. Nel quarto luogo della diligenza entro un pretarello magro e squarciato come un levriero, che con un fagottino sotto l’ascella camminava a piedi quando la diligenza andava adagio. «Dove si va, abate?» «A Roma, per vedere la canonizzazione del beato Alfonso de Liguori e del beato Francesco de Girolamo. E voi?» «Io? vo con questo sergente». «A Napoli?» «Voi andate a vedere un pochino di paradiso, ed io vo’ all’inferno, vo’ carcerato». Il povero prete mi aprí tanto un paio d’occhi in faccia, si fe’ pallido, e non disse piú che monosillabi.

La terza notte giungemmo in Napoli, e dismontammo innanzi l’uffizio delle poste. Quivi il sergente mi disse: «Abbiate un occhio al mio fucile, che non me lo rubino». Me lo porse e si allontanò con la moglie. A quell’ora, in quel luogo, in una cittá cosí grande di cui io conoscevo tutti i viottoli, nessuno sapendo che io era prigioniero, mi venne la tentazione di fuggire e gettare il fucile in qualche parte, ma avrei tradito un uomo che aveva fidato in me, lo avrei rovinato, fattolo arrestare, subissare: rimasi e gli consegnai il fucile quando ei tornò. Ei condusse la moglie in un albergo, e poi me in prefettura, dove mi disse: «Spero di rivedervi subito libero». Non ho piú riveduto quel gendarme galantuomo.

Nella prefettura fui chiuso in una stanza terrena dove era un cesso orribilmente fetido, ed un gran tavolato sul quale gettai il mio valigiotto, sul valigiotto poggiai il capo e mi