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XXVI

(Tempesta).

Santo Stefano, 8 febbraio 1855.

Sull’anima mia è passata una tempesta. Una volta anche io serbava l’imperturbabile serenitá del savio, e temperava le amarezze con lento sorriso: ora mi sento dai piedi salirmi un fuoco alla testa, e poi battermi forte il cuore, e velarmisi gli occhi.

Oh come mi ha trasfigurato l’ergastolo! Alle pene fisiche mi sono giá abituato: alle pene morali non mi abituerò giammai, soccomberò sí, ma combatterò sempre, mi difenderò sempre il cuore, che è la mia rocca, la mia inespugnabile fortezza. Oh povera mente, povero cuore mio, quanti nemici assaltano l’uno e l’altra! Mi viene a piangere quando riguardo me stesso, e miro la mia mentale e morale dissoluzione. No, no, non mi vincerete: io combatterò sino all’ultimo, finché mi palpiterá il cuore. Oh tremendo ergastolo! oh angoscioso ergastolo che mi squarci tutte le fibre della vita. Oh, mi si spezzasse il petto, e la finissi una volta per sempre!

XXVII

(La compagnia malvagia).

Santo Stefano, 5 marzo 1855.

E quel che piú ti graverá le spalle
sará la compagnia malvagia e scempia,
con la qual tu cadrai in questa valle.

Sí, questo è il peso che piú mi grava le spalle, e poco mi giova l’avere fatta parte da me stesso.

Oh, vorrei non esser nato uomo.