Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. II, 1934 – BEIC 1926650.djvu/120

Da Wikisource.
114 parte terza - capitolo xxxi [400]

     Il tagliar d’una spada
apremi le palpebre,
e una voce m’interroga: «Che vedi?»
«Una spada rovente
in questo universale tenebrore
splender sinistramente».
«Or ch’hai veduto, credi.
La spada del dolore
è il solo ver che esiste in mezzo al niente.
Quella che chiamano — luce di scienza
è breve tenue — fosforescenza
che delle lucciole — sta sotto l’ale.
Perché la dicono — luce immortale?

               «La parola creava
          un mondo, e il colorava.
          Ed essa d’ogni cosa
          è la sustanza ascosa,
          il nocciolo del frutto
          che vietato e gustato
          produsse tanto lutto.

               «Cosí gli uomini sciocchi
          credettero con gli occhi
          proprio di vedere
          le ragioni immortali
          e de’ beni e de’ mali.
          Ma fu solo un parere
          fu un’eco ripercossa
          a cui dier polpa ed ossa.

               «Il vero è tutto buio,
          e non ha alcun colore,
          come il tempo continuo
          non distinto per ore
          né altro se ne sente
          che il dolore del niente.
          Questa vostra ragione
          s’affatica s’affanna
          con un bocciuol di canna
          far bolle di sapone:
          che vaganti, tremanti,
          infine si disciolgono