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[293] l'ergastolo di santo stefano 7


un curato e tre preti: e fu eretta una chiesa a santa Candida di Cartagine, una cui immagine nascosta fra le rovine era adorata dai pescatori che qui approdavano. Ora nella chiesa vedesi l’immagine della santa, a cui stanno innanzi genuflessi e presentando le catene un vecchio ed un fanciullo, che sono Pasquale Regine ed il figliuolo. Oggi Ventotene è una vaga isoletta con mille abitatori, piú che quattro miglia di circuito, quattrocento moggia di terreno coltivabile, ed a tramontana un porto per piccole barche. In Ponza ed in Ventotene si mandano tutti i condannati alla relegazione, la piú parte ladri: ed ora senza condanna vi sono piú di quattrocento giovani generosi che hanno il delitto di aver combattuto da prodi su i campi della Lombardia e della Venezia. Rispettati ed onorati dagli stessi nemici, qui stanno mezzo nudi, mutilati, con le ferite ancor sanguinanti, misti ai ladri, penando nella miseria, scherniti da chi non rispetta neppure i sacri diritti della sventura.

Ripopolata Ventotene, rimaneva ispida e selvaggia la vicina Santo Stefano, dove nel 1794 fu costruito l’ergastolo, e ne fu architetto Francesco del Caprio. Qui furon mandati tutti i galeotti condannati a vita, e quelli che nelle altre galere erano piú feroci ed incorreggibili: onde divenne luogo di piú grave pena, ricetto di scelleratissimi. Nel 1799 vi furono chiusi ed incatenati oltre cinquecento prigionieri politici; tra i quali il carissimo padre mio che vi penò quattordici mesi. Dopo i tristi casi del 1821 quei condannati a morte, ai quali fu fatta grazia del capo, furono qui gettati e sepolti: qui stettero il marchese Tupputi, il colonnello Celentano, e il cavalier Fasulo, il maggiore Gaston, e tra moltissimi altri l’infelice capitano Piatti, che qui visse dodici anni filando canape. In tutti i paesi civili d’Europa i prigionieri politici sono tenuti con rigore sí, ma con rispetto; non sono misti ai ladri, agli assassini, ai parricidi, come si fa nel nostro paese. Questa compagnia di uomini perduti e scellerati fa piú dolore che la catena ed i ceppi, perché tormenta il cuore e l’anima: quasi che non bastasse di punire la virtú, si vorrebbe anche macchiarla,