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XL

(Dopo il congresso di Parigi).

Santo Stefano, 8 giugno 1856.


. . . Per tua sorella mi pare savio l’avviso di tuo zio, il quale dice che ella verrá quando saranno perdute tutte le speranze, che egli non crede ancora tutte perdute. Io, ti dico il vero, non vorrei aver bisogno di Antonietta, e mi piace che tuo zio non abbia perduto tutte le speranze, e credo che qualche cosa, sebben poco e tardi, se ne caverá. Non so persuadermi come Antonietta, che non deve neppur ella aver perdute le sue speranze, voglia che tuo nipote rimanga costá per altro tempo. Ti mando gl’indirizzi de’ marinai in una cartella che conserverai. Bada che se bisognerá farmi giungere subito qualche lettera, non me la mandi per un solo mezzo ma per piú; e se è possibile, se Ces(are) è in Napoli, mandare una copia della lettera in Ischia acciocché venga subito qui. La direzione la farai qui a Pasquale Castaldi, che è piú sicuro. Ma giá io preveggo che tutto questo non bisognerá.

Dammi qualche novella di ciò che si dice e si spera. Io so che gli sciocchi dicono molto, e i savi sperano pochissimo o niente: ma so ancora che ora si tratta in Europa, e specialmente nel parlamento inglese, di una gran quistione, che riguarda noi. L’opinione d’Europa fará certamente qualche effetto: io vorrei che il nostro governo resistesse: peneremmo un altro anno o due, ma poi si finirebbe per sempre. Basta: io non mi attendo bene da chiacchierate diplomatiche e parlamentarie, e giornalistiche, ma dal tempo che dalle chiacchiere forma le opinioni, e dalle opinioni le azioni. È una gran cosa che ora si parla di noi: questa cosa ci deve essere cagione di bene sperare.