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XLIX

(Impazienza di partir per l’America).

Santo Stefano, 8 febbraio 1857.

Salazar non è venuto ancora, forse pel cattivo tempo che non avrebbe permesso che il vapore si fosse fermato nel canale: e dimani il tempo neppure dá speranza che sará buono. Si è avuta lettera da Nisida, nella quale si dice che colá soli quattro hanno accettato di emigrare, e che Salazar ha detto di aver trovato in Procida un sufficiente numero di persone che hanno detto di sí. Qui ci paiono mille anni che egli venga; ed io temo che forse gli ergastolani saranno lasciati gli ultimi, anderanno con altra spedizione, se si è giá fatto il numero sufficiente. Se il governo vuole atterrire, fará piccole spedizioni, e noi anderemo Dio sa quando, resteremo qui altri sei, otto mesi, e forse un anno. E però io ti prego di trovar modo di far sapere al Salazar che qui una quindicina accettiamo, gli altri pochi e vecchi e inutili non possono accettare; e che desideriamo di partire presto. E se questo non basta, Errico potrebbe andare dall’incaricato della repubblica, e pregarlo che ci richiegga, e ci faccia partire con la prima spedizione. Finalmente siamo pochi: ed una quindicina di piú o di meno in una spedizione non levano né pongono niente. Il mio timore è di rimanere qui un altro anno: però prega Errico che si dia da fare, dichiari la mia volontá e dei miei compagni all’incaricato, e cerchi anche modo di farla sapere al signor Salazar. L’altrieri compirono sei anni che sono qui, ed è cominciato il settimo: sono proprio noiato: e quest’altalena che si giuoca da due anni mi stanca! Avesse a sparire anche questa speranza? Ti farai maraviglia di questi sospetti, ma, o Gigia mia, è cosí tristo l’ergastolo, ed ho avuto tanti disinganni, che ormai sospetto di ogni cosa, e temo di sperare