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[465] racconto di mia moglie 179


Nel 1858 tornato a Genova chiese di fare esami per ottenere qualche grado. Gli fu negato verso marzo o aprile. Dunque sempre marinaio? Questo non sará; chiese il suo congedo, stanco di quella vita, e dei vecchi e nuovi soprusi.

Il generale mi scrisse che Raffaele aveva chiesto il congedo. Credei che questo gli farebbe male. E congedato che fará? Chiesi un passaporto per Genova. E questa volta che non c’era il ministro non potei ottenerlo se non tardi e quando non me l’aspettava piú. Montata sul vapore mi tolsero di mano la borsa, e un ispettore di polizia volle vedere che aveva in essa e nella mia valigia. Non trovarono nulla, perché aveva preveduto ogni cosa, e trattai l’ispettore come meritava, cosí che colui se n’andò via, ed io partii.

Giunsi a Genova in maggio che Raffaele aveva ricevuto il congedo il giorno prima. «Ed ora che farai?» «Gli esami per capitano mercantile». Chiese di fare questi esami, e con maraviglia seppe che non poteva perché era straniero. «Come straniero se ho militato quattro anni nella marina sarda? Non vedete il congedo?» «Bisogna aver lettere di naturalitá, essere dichiarato cittadino sardo». Dunque bisogna andare a Torino a parlare al ministro Cavour. Andai a Torino con Raffaele, vidi Pier Silvestro Leopardi, Camillo De Meis. Parlai al conte di Santa Rosa che mi accolse gentilmente, e disse a me che avrebbe fatto ogni suo potere, e poi disse a qualche altro: «Ne abbiamo troppo di questi repubblicani come il giovane Settembrini». Parlai col Mamiani, e neppure potei giungere al Cavour. Infine Lorenzo Valerio disse: «Ma questa è una vergogna che la moglie di Luigi Settembrini non possa parlare al Cavour», e subito mi fece ottenere l’udienza. Il Cavour mi accolse con la solita sua cortesia, e disse a Raffaele: «Ricordate che abbiamo desinato insieme in casa Panizzi?» «Lo ricordo». «E perché avete voluto il congedo?» «Per la stessa ragione che lo volle V. E. quando era militare». «Bene: vedremo quello che si può fare. Esaminerò le carte. E cosí che si fa in Napoli?» «Si soffre, signor conte. Voi avete un re galantuomo, noi abbiamo una belva». Il Cavour