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180 parte terza - capitolo lxvi [466]


si commosse e soggiunse: «Ci sono molti che desiderano il Murat?» «Io posso assicurare Vostra Eccellenza che sono pochi». «E vostro marito?» «Mio marito mi ha scritto molte volte che egli vuole meglio il Borbone che il Murat: perché l’uno è un male vecchio e paesano, e l’altro sarebbe un male nuovo e forestiero». «Davvero?» «Oh, sí, né egli né lo Spaventa accetterebbero il Murat». «Dunque meglio restare nell’ergastolo?» «Essi dicono che è meglio non per loro, ma pel nostro paese». «E in che sperano dunque?» «Nel re galantuomo». Il Cavour mi guardò sorpreso, e dette alcune altre parole mi accomiatò con molta cortesia.

Bisognò tornare a Genova, e lí aspettare la risoluzione del ministro. E mentre aspettava, e i danari scemavano, venne da Napoli una lettera che la Giulia era travagliata dal parto. Io non ebbi piú pace, mi disposi a tornare, chiesi il passaporto, e il console me lo negò, dicendo che per ordine superiore io non poteva piú tornare in Napoli. «Ma che cosa ho fatto io che debbo rimanere qui in esilio, e lasciare mio marito prigione in Napoli, e mia figlia?» «Siete stata a Torino». «Ma per miei affari, per parlare per mio figlio». «Sono ordini superiori venuti da Napoli». «Ma perché mi hanno fatto partire? Ordini crudeli, spietati, capricciosi». Io non so quello che dissi, io mi sentii gettata cosí in esilio in un paese non mio, senza mezzi. Oh come fare? Non dormivo, non aveva piú un momento di riposo, credevo di uscir pazza, sentiva un dolore che mi lacerava il petto. Io era stata sempre spiata e una volta m’accorsi di una persona che era nascosta dietro la porta della mia camera, e quando aprii la porta fuggí via, ed io credetti fosse un ladro, ma era una spia. La prima volta non ebbero che riferire, perché io ero sempre intorno al povero figlio ammalato: la seconda volta mi videro andare a Torino, dove il ministro napolitano Canofari mi fece vigilare, e riferí, ed io non potei piú tornare per ordine proprio di re Ferdinando II. «Oh questo crudele Ferdinando quanti dolori che mi ha dati! Ma io tornerò a suo dispetto». «Volete tornare?» mi disse Nino Bixio che spesso veniva a vedere Raf-