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190 parte terza - capitolo lxix [476]


Abbiamo un comandante molto rigoroso, che è stato in gendarmeria, e comandante anche a Montefusco, e ci ha stretti sí che avere e mandare lettere è cosa difficile assai: e ti prego di essere attenta, e scrivermi con prudenza. Noi non abbiam segreto di stato: ma i cancheri nostri possono far sospettare gente ignorante. Bada dunque ad Alberto. Ma io debbo dire il vero che questo comandante ha ragione.

Non ho altro che quattro rotoli di filato da un pezzo, e te lo manderò quando viene Colonna: il quale sono circa cinquanta giorni che manca da qui, e non so quando verrá. In cinquanta giorni si va e si viene d’America, e Colonna non fa il tragitto da Napoli a Ventotene! Io sto bene al mio solito. Ora mi occupo a tradurre Tucidide, e sono tutto in questo lavoro.

Qui si parla molto del matrimonio del principe, perché si spera un indulto. In questa occasione ci sará sicuramente qualche cosa, poca se sará il matrimonio senza che si ripiglino le relazioni con le due potenze. Io penso: «E che sará di me? Sarò io mandato ai ferri?» Sarebbe per me pena maggiore della presente. In esilio? Sarebbe il minor male, ma sempre male, perché non avrei te che ora ne sei tornata e spaventata. Ma fosse pure l’esilio! sarei contento che tu stessi con la Giulia ed io anderei dove potrei meglio guadagnare da vivere, e mi unirei a Raffaele. Fo tutti questi casi: e fo pure l’altro di non uscire di qui, e con tutto il matrimonio e l’indulto sperato, rimanere qui chi sa quanto altro tempo. Sia quello che sia: sono pronto a tutto. Aspettiam dunque gennaio e le nozze. Povere speranze dove sono andate a ficcarsi!

Gigia mia, dopo tanti trapazzi e tanti crepacuori che hai sofferto da otto mesi in qua, attendi ora alla tua salute, e a ristabilirti interamente. Io da qui ho sentito quello che sentivi tu, e immaginando quello che ti accadeva non avevo pace. Ora è finita, e spero che sia finita davvero, e che non ti molestino un’altra volta.