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LXX

(Verso l’esilio).

Nella rada di Cadice, 28 gennaio 1859.

 Gigia mia dilettissima,

Sto bene, e debbo andare a New-York. Abbiamo avuto una buonissima navigazione, e stiamo tutti bene. Da Santo Stefano di golfo lanciato fermammo ad Algesiras nella baia di Gibilterra: dove giungemmo il 23; e il 26 in quella di Cadice. Aspettiamo che sia noleggiato non un vapore, che non ce n’ha, ma un legno a vela: e tra pochi giorni partiremo per America. Nessuno scende del legno, né vediamo nessuno. Siamo trattati bene: e mi piace assai che nel dividermi dai miei cittadini, le ultime persone che io vedo, sono persone dabbene. Sono risoluto di volere stare in America il piú breve tempo che potrò, e desidero di andare tosto in Inghilterra, e riabbracciare dopo sette anni il nostro caro e benedetto figliuolo: e forse solamente Silvio verrá con me, ché gli altri hanno altri disegni. Da New-York e da Londra ti scriverò e lungamente.

A me non scrivere, o, se vuoi scrivimi a Londra, dove mi farai trovare tue lettere, e novelle della tua salute, dei fratelli tutti, e di Peppino e di tutta la sua famiglia. E di Gennarino che n’è? Tutti vorremmo sapere che sorte ha avuta.

Addio, Gigia mia dilettissima. L’ergastolo è finito: son tornato uomo: che importa valicare l’Oceano, che il nostro Raffaele ha piú volte valicato?

Cura la tua salute, o mia diletta, bada sopra tutto alla tua salute, che è la salute e la vita mia. Forse i nostri onesti