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LXXIII

(Raffaele).

14 febbraio 1859.

Ieri ho abbracciato Raffaele! ho veduto nostro figlio, gli ho parlato, l’ho avuto vicino a me! Che consolazione ho avuta! Figlio benedetto come è bello! Ha fatto i suoi esami in Londra, ha avuta la patente, che mi ha mostrata, è secondo capitano sopra un vapore d’una compagnia inglese. Il vapore viene da Londra, e passando Lisbona, Cadice, Mogador, va alle Canarie, e di lá per la stessa linea ritorna a Londra. Egli indossa una bella divisa d’uffiziale di marina, e spera di essere capitano tra breve. Mi ha detto che egli conta di tornare a Londra pel 13 marzo, e di lá sopra un vapore della stessa compagnia che fa la linea d’America, venire a New-York, dove io l’aspetto, e donde ritorneremo insieme in Inghilterra. È stato veramente un caso che ci siamo incontrati in questa estrema parte d’Europa. Egli sapeva della grazia dai giornali di Londra e di Lisbona: venuto qui, e veduti due vapori napoletani, s’è informato, è corso... figlio mio, Raffaele mio! io non ho potuto reggere alla commozione alla inaspettata scossa che ho avuta. Rivederlo, e vederlo bene mi ha dato tale una gioia che tu sola intendi, e che vorrei che tu avessi anche sentita con me. Sia benedetto Dio, che mi compensa cosí di dieci anni di dolori profondi. Egli deve la sua posizione al suo valore mostrato nell’esame. Non ti so dire l’effetto che ha prodotto sopra tutti, non dico gli esuli, che l’hanno veduto da lontano in un battello, ma su tutti gli uffiziali e gli equipaggi dei vapori. Figlio mio, sia benedetto mille volte. L’ho veduto, l’ho abbracciato, gli ho parlato per piú d’un’ora. Ti scriverò adunque con lui da New-York. Quest’oggi stesso egli ti scrive per la posta ed io anche ti ho scritto per la