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LXXV

Ricordo di Raffaele mio.

Nel mese di gennaio io ed altri sessantacinque compagni uscimmo della galera, e fummo messi sul vapore Io Stromboli, che rimorchiato dalla fregata di guerra l’Ettore Fieramosca ci trasportò a Cadice. Lí stemmo in rada ventiquattro giorni, custoditi severamente, senza potere né scendere né vedere nessuno, aspettando che fosse noleggiata e preparata una grossa nave americana che ci doveva portare a New-York. Un giorno mentre io scrivevo, mi sento chiamare, e dire: «Un uffiziale inglese è venuto a bordo, e ha dimandato di voi». «Dov’è? chi è?» «Ha parlato due minuti col capitano, poi subito è disceso, e v’aspetta su la fregata». Io monto su la coperta, e trepidante dimando al capitano: «Dite: è mio figlio?» Egli: «Lo vedrete su la fregata». Io perdetti la conoscenza. Chi è padre può immaginare quello che io patii. Il buon capitano Cafiero mi condusse su la fregata, dove io rividi ed abbracciai il mio figliuolo dopo dieci anni giá divenuto uomo, e in divisa d’uffiziale di marina. Egli subito squadernò innanzi al Cafiero, ed al Brocchetti comandante della fregata, la sua patente, disse come era a servigio d’una compagnia inglese, e sopra un vapore che viaggiava da Londra alle Canarie. «E quando sei giunto?» «Ieri, e riparto domattina». «Dove hai saputo che io era qui?» «I giornali in Londra annunziavano la vostra partenza: l’altrieri a Lisbona ho saputo che eravate qui. Io tornerò subito a Londra, e di lí col primo postale sarò a New-York, dove vi aspetterò, o verrò subito dopo di voi, e torneremo in Inghilterra». E cosí dicendo, mi accennò con l’occhio e mi strinse la mano, e sottovoce soggiunse: «Voi non anderete in America». Tenni queste parole una bravata giovanile e sorrisi. Ci dividemmo, io tornai su lo Stromboli,