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[561] seconda difesa di luigi settembrini 275


Siatemi dunque benigni, ed attendete piú alle mie intenzioni che alle mie parole, le quali saranno brevi, perché se le brevi non bastano, non basterebbero neppure le molte.

Signori: io sono accusato come capo settario e come cospiratore. Sono accusato come capo settario dalla denunzia di Luigi Iervolino, da’ detti di Gaetano Romeo, dalla lettera di Ferdinando Carafa, e dalla dichiarazione di Luciano Margherita.

Sono accusato come cospiratore, perché Luigi Iervolino afferma, che io gli diedi quattro copie d’un proclama per diffonderle, e perché il Margherita dice aver saputo dal Sessa, che io era l’autore di quel proclama.

Questa è tutta l’accusa ed i fonti dell’accusa.

Ma innanzi che io confuti questa accusa consentitemi che faccia tre riflessioni preliminari.

1. La prima è che la colpa vera che si vuole punire in me, non sta scritta nell’atto di accusa stampato, e il procurator generale nella sua requisitoria fa intravederla in una reticenza, quando dopo di aver detto che io fui sottoposto ad altro giudizio politico, aggiunge queste parole: «a questo solo mi arresterò su di Luigi Settembrini». Il mio vero delitto è il mio nome; ma ricordatevi, o giudici, in che paese ed in che tempi viviamo, ricordatevi negli anni passati quanti uomini onesti ed intemerati hanno avuto nomi di tristi e di spie, e quanti tristi sono stati chiamati eroi; e non vi parrá strano che io, il quale ho avuto sempre fortuna, desiderii, opinioni moderatissime, sia creduto un uomo trasmodante e sfrenato. Nessuno di voi mi aveva mai veduto, nessuno mi aveva mai parlato. La prima volta che mi vedeste fu su questo scanno, e mi vedeste non quale io sono, ma quale l’opinione del volgo mi dipingeva, mi vedeste cinto da una nera nube, la quale voi ormai dovete squarciare, dovete conoscere il vero, non vedere cogli occhi del volgo, giudicare de’ fatti, non del nome.

2. La seconda riflessione è una veritá confermata dalla storia di tutt’i tempi e di tutt’i paesi, che si vede in fatto giornalmente, e che io desidero che voi tenghiate bene in mente. Questa veritá è, che in tempi di civili discordie, raramente è giusta una sentenza pronunziata in causa politica. Non intendo d’offender voi, ma voglio dire che in questi tristi tempi si mostrano le passioni piú sozze e nefande. Ambizioni, sdegni, vendette nell’una parte e nell’altra: e quando una parte è vinta, sorgono come vermi tutti i vigliacchi e tutti gli accusatori: