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[319] gli ergastolani 33


ogni giorno a chi commette i piú lievi falli ed i piú gravi. Il colpevole è disteso bocconi sopra uno scanno in mezzo al cortile: e da due aguzzini con due grosse funi impiastrate di catrame ed immollate nell’acqua, è battuto fieramente su le natiche, e su i fianchi ancora e su i femori. Il comandante prescrive il numero de’ colpi, ed è presente col medico e col prete: i soldati stanno su la loggia con l’arme al braccio: i condannati debbono riguardare: il battuto urlando chiama la vergine ed i santi che poc’anzi bestemmiava: alcuno soffre muto, e levatosi dallo scanno con orgogliosa impudenza si scuote i calzoni e le battiture. Dopo le battiture è incatenato ad un piede, e messo al puntale, cioè l’altro capo della catena è fisso ad un grosso anello di ferro che sorge dal pavimento d’una segreta, o è fisso ad un cancello d’una finestra: e cosí sta assai giorni e mesi. Talvolta gli si mettono ancora le traverse, che sono due semicerchi di ferro messi ai piedi e fermati da un grossissimo perno che pesa su i talloni e rende difficile e doloroso stendere un passo. Questi castighi sono continui, le battiture quasi ogni giorno: alcuni in varie volte ne hanno ricevuto oltre due mila, e ne muoiono consunti da tisi, ma non domati. Dopo l’omicidio s’incomincia il processo: i testimoni, che spesso sono congiurati, aiutano il vivo, dicono che è stato provocato da schiaffi e da ingiurie. Il colpevole dopo tre quattro anni è mandato a Procida, dove una commissione militare lo giudica e lo condanna ad altre battiture, o a pochi mesi di puntale, rarissimamente a morte: onde ritorna piú baldanzoso tra i suoi, e pronto a dare altre morti. Le robe dell’ucciso spesso sono rubate, o i paesani se le dividono: se muore dopo alquanto tempo nell’ospedale, il prete si fa lasciar qualche cosa o tutto per dirgli una messa di requie: i cenci, il letto, la cassa, si vendono all’incanto in mezzo al cortile, ed il danaro si divide tra i creditori, che ricordano di lui solamente per maledirlo.

Vi sono ancora armi piú crudeli e velenose dei coltelli. Coloro che sanno scrivere fanno scellerate denunzie contro i loro compagni, e ne hanno particolari favori, o un compenso

L. Settembrini, Ricordanze della mia vita - ii. 3