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32 parte terza - capitolo iv [318]


Le piú frequenti cagioni di risse sono il giuoco ed il vino. Il giuoco è severamente vietato; ma giuocano a carte, che fanno essi stessi con tipi di legno. Giuocano il giorno, giuocano la notte, e ne comperano il tacito permesso dai venali custodi: si giuocano danari, il pane, la zuppa, il letto, i panni, il pudore. Pel vino non vi è alcun regolamento: ognuno ne beve quanto può comperarne dal tavernaio, quanto ne guadagna giuocando alla mora: né beve se non nel giuoco, che, dicono, dá sapore al vino. Molti mangiano la zuppa e mezzo pane senza bere o gonfiandosi d’acqua; dipoi si uniscono, giocano alla mora, spendono quel che tengono, o che hanno guadagnato filando per molti giorni, o che hanno preso ad usura, e bevono dal mezzodí fino alla sera, fino a rendersi bestie. Li vedi bevendo e ribevendo parlar lungamente, ricordar cose accadute molti anni prima, vecchie e perdonate offese, e ad un tratto far gli occhi strani, levarsi, far lago di sangue e di vino. I loro combattimenti non sono forti e direi generosamente scellerati, ma traditori e vigliacchi: molti s’avventano su di uno che siede o che dorme, e lo feriscon di dietro; o mentre passa innanzi una porta gli cacciano un pugnale nel fianco. Una rissa ne genera molte per molto tempo: gli amici ed i paesani raccolgono l’ereditá dell’odio e della vendetta: l’uccisore è ucciso da un altro, e questi da un altro, e cosí sempre. Se la rissa si accende in un piano inferiore, vedi dal superiore volar pietre, scagliar fornacette che schiacciano le membra, correre, inseguire, ferire: odi grida terribili e strazianti, urla, bestemmie, e par che tutto l’ergastolo tremi dalle fondamenta. La sentinella che sta sulla piazzetta chiama i compagni all’arme: e quando tutto è cessato viene il comandante, gli aguzzini, il chirurgo, il prete: i feriti vanno all’ospedale; i morti nella bara al cimitero, agli altri si prepara il castigo: tutti i condannati chiusi nelle celle sono concitati da ira, da pietá, da gioia feroce, da diversi e strani affetti.

Per impedire questi orrori non basta il senno e la vigilanza de’ comandanti, non le battiture, il puntale, le traverse, le manette; che sono gli aspri castighi che si dànno