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[347] i compagni di cella 61


come femminella che borbotta, o come prete che si rode l’uffizio. Se talora, o io, o Silvio, o altri gli andiamo un po’ a verso, e gli diam ragione per quello che ei dice, il che suole accadere la sera in sul tardi quando egli è coricato, si leva nudo a mezzo il letto e parla e mena le mani, e si riscalda, e in fine si pone a sedere con le gambe spenzolate e nude; come Socrate che giaceva, e parlando dell’immortalitá dell’anima si pose a sedere su la sponda del letto. È poverissimo, ma non sudicio, pieno di debiti, spesso senza neppure il pane tra perché spende in cose che non sono necessarie se non alla sua vanitá, e perché ha dato malleveria e protezione a certi ergastolani che son nati in condizione gentile, i quali furbi e tristi, veduto il nuovo pesce, lo carezzano, lo ravviluppano, lo spogliano, ed egli un poco se ne sdegna, un poco li compatisce, e sempre si compiace di aiutare e proteggere galantuomini. Fu condannato a morte per omicidio e furto, per grazia venne nell’ergastolo, dove è da ventinove anni, donde non spera di uscirne come il Nasone per grazia, ma per un rivolgimento del mondo, che accaderá nel modo che egli immagina; e poi quando sará libero si prenderá quei suoi denari sepolti, torrá moglie giovane, si fabbricherá una casa, e non si occuperá di altro che di nutrire in una grande aia un’immensa quantitá di galline, di tacchini, di papere, di anitre, di pavoni e di ogni maniera di polli. Chi non fa i suoi sogni? chi non ha le sue speranze? Anch’io fo i sogni miei, ed ho le mie speranze in questo sepolcro dov’è morta ogni speranza!