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XVIII

(Il ritratto della moglie).

Santo Stefano, 17 aprile (1854).

Ho baciato il tuo ritratto, o mia diletta, ma l’ho baciato segretamente. Gli uomini tra cui sono, se m’avessero veduto m’avrebbero deriso, perché non conoscono la virtú e l’amore. Che nuovo tormento è questo di dover tenere celato come delitto il piú sacro, il piú casto degli affetti? Ho baciato il tuo ritratto, ho riveduto gli occhi tuoi, ma non son dessi, non hanno quella luce e quell’amore. Gli occhi tuoi li ho qui nell’anima mia, e qui scintillano come due stelle, e mi spandono una luce soave per tutta l’anima. Quanto mi sarebbe necessario rivedere ogni giorno la tua immagine, per chetarmi un po’ l’anima conturbata dal continuo e permanente spettacolo d’ogni bruttezza fisica e morale! Quanto vorrei esser solo anche in una segreta per potere abbandonarmi alla fantasia, venire vicino a te, e chiamarti per nome! Oh il tuo nome qui nol profferisco mai, perché mi parrebbe di contaminarlo.

Sai che mi ritorna sempre a mente? Il primo sguardo tuo quand’io ti vidi la prima volta e t’amai, la prima parola che tu mi dicesti. Era l’aprile del 1834: io aveva ventun’anno, tu sedici. Che amore! che ebbrezza! quant’era bello il mondo! quanto sereno il cielo! come suonava la voce tua, come splendevano gli occhi tuoi! che divina bellezza ti dipingeva tutta la persona! Io ne ricordo, e ancor tremo e palpito d’amore. Sí, tu sei ancor quella, gli occhi tuoi hanno la stessa luce, le tue parole la stessa melodia: io t’amo con la stessa caldezza, benché passati tant’anni e tante sventure. Ricordi tu quel bacio, il primo bacio che io ti diedi quella sera! Oh, perché mi dicesti che m’amavi? Povera fanciulla, angelo di