Pagina:Sino al confine.djvu/116

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Affacciata alla finestra verso l’orto si abbandonava a considerazioni nuove in lei, e sentiva un’improvvisa affinità con la natura. Le pareva che qualche cosa morisse entro di lei come le foglie nell’orto. Tutto e tutti invecchiavano: sua madre, Paska, Luca, i vicini; ma era una vecchiaia dolce, tranquilla un lento declino verso la morte.

Il giorno di Tutti i Santi zio Sorighe, venuto in città per affari suoi, le portò un fascio di fronde e di fiori di vitalba: ella ricevette il dono con diffidenza e portò i fiori nel cortile dicendo che voleva farne una corona per la tomba di suo padre.

Quando fu sola sciolse il mazzo e trovò dentro un biglietto di Priamo. Egli le annunziava semplicemente che fra cinque giorni doveva ricevere i primi ordini. Ed ella intrecciò la corona, preparò le lanternine colorate da deporsi sulla tomba, e pianse: le pareva di piangere ricordando il caro defunto, e non si accorgeva e non voleva accorgersi che piangeva anche per tutto ciò che era morto in lei.

Calava la sera. Le campane suonavano a morto, con richiami gravi e cupi a cui rispondevano altri rintocchi lontani, che avevano una strana risonanza, come l’eco di un galoppo di cavalli su un ponte metallico. Forse i morti galoppavano, nella sera violacea, fra le nuvole color dello schisto; i vivi dimenticavano e pensavano a divertirsi. Gruppi di