Pagina:Sino al confine.djvu/119

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Gavina pensò all’«affare» che anche zio Sorighe diceva di dover sbrigare in città, e rise sdegnosamente. Francesco sedette accanto a Luca, prese il bicchiere che la signora Zoseppa gli porgeva e volgendosi a Gavina declamò!


Salute, o genti umane affaticate,
Nulla trapassa e nulla può morir....


— Tutto trapassa, — corresse Gavina.

— Tutti morremo, — aggiunse la vedova, che non capiva bene i versi recitati dal fantasma, ma intanto si rivolgeva a lui premurosa.

Andato via Francesco, Gavina uscì nel cortile, prese in mano gli avanzi delle fronde di vitalba portate da zio Sorighe e vi nascose il viso. Che voleva da lei Francesco Fais? Per lei egli era davvero un fantasma.



Nella piazzetta della zia Itria il vecchio reduce raccontava le storie, i giovani ridevano, e solo il figlio della vedova maldicente, ritornato dal domicilio coatto (dall’esilio, diceva poeticamente sua madre) si permetteva di contraddirlo.

E una sera, a proposito di una storia raccontata dal vecchio, l’ex-coatto e uno dei calzolai si azzuffarono e si ferirono. Il calzolaio morì; il figlio della vedova ritornò in carcere.

Dall’alto della sua finestra Gavina sentiva

Deledda.Sino al confine. 8