Pagina:Sino al confine.djvu/120

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la vedova maledire la sorte, e vedeva la vecchia madre cieca del povero calzolaio passare rasente ai muri con le mani tese in avanti; ma ella era troppo svogliata perchè potesse interessarsi alle miserie altrui.

Di giorno in giorno perdeva sempre più il gusto della vita, e la sua anima si atrofizzava come un membro non adoperato. Solo durante le crisi del terribile male di Luca ella pareva svegliarsi; allora la sua anima ritornava fiera e vigile, quasi che solo il dolore le spiegasse il perchè della vita. Null’altro di utile e di vero esisteva per lei; il suo mondo diventava sempre più misero e scialbo, e in questo mondo freddo e morto come quello della luna, ella sola, col suo dolore, viveva.

Neppure i giornali e le cartoline che Francesco Fais le mandava da Roma, dov’egli aveva ottenuto un posto di assistente d’ospedale, cartoline con le stesse fontane, gli stessi giardini, le stesse rovine che ella aveva «già veduto» altra volta, riuscivano a scuoterla dal suo sopore.

Qualche sera ella e Michela scendevano ancora alla fontana, e parlavano di Francesco, e parlavano di Priamo, ma con la stessa indifferenza con cui parlavano del canonico Bellìa e del canonico Felix. Una sera, però, Gavina notò una cosa strana nella sua compagna di passeggio: Michela parlava di Priamo con voce turbata.