Pagina:Sino al confine.djvu/167

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Anche lui aveva il viso grigio e come rimpiociolito, per la brutta notte passata in mare e per la sorda inquietudine che gli destava Gavina; ma a poco a poco l’aria libera e la vicinanza della terra parve rianimarli entrambi. Egli si ripiegò sul collo il bavero rialzato del soprabito e respirò forte; ella guardò la torre melanconica del molo, disegnata su un velo di nebbia, e che pareva emergere dall’acqua cenerognola del porto. Il mattino tiepido o velato d’una lieve vaporosità rosea pareva un mattino di autunno. Fra gli alberi delle navi la città coperta di vapori appariva come nello sfondo di un bosco nudo; si udivano confusi rumori, vibrazioni metalliche, fischi di sirene, segnali che parevano urli di belve: e mentre Gavina metteva il piede a terra, fra una turba fantastica di uomini di mare, si udì un rimbombo fortissimo ripercosso dall’eco. Ella trasalì, gli uomini si tolsero i berretti, un vecchio s’inginocchiò.

— Che cosa c’è? — domandò Francesco.

— È una salve d’artiglieria, — rispose un marinaio. — Si trasporta la salma d’un ufficiale morto in Africa.

E Gavina pensò all’altro morto, il cui ricordo non l’abbandonava un istante; e le parve che il triste e ironico destino che la perseguitava salutasse con quella salve funebre il suo arrivo in terra straniera. Pareva le dicesse: io son qui, ti aspettavo e ti prendo!

Deledda. Sino al confine. 11