Pagina:Sino al confine.djvu/202

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— Sì.

— Dimmi.

Mentre ella ripeteva parola per parola la lettera di Priamo, il suo volto si copriva d’un rossore livido, o i suoi occhi si velavano di lagrime ardenti. Francesco domandò!

— Aveva ragione di scriverti così?...

— Non so.... non credo! No, no! Non sono colpevole, ti giuro, no, Francesco! Io non gli promisi mai niente. Un giorno, molti anni or sono, mentre eravamo ancora bambini, egli venne nella nostra vigna e mi disse che non voleva più farsi prete perchè mi amava. Gli risposi che lo avrei aspettato: ero una bambina! Ma dopo compresi che la mia promessa era una sciocchezza. Molte cose accaddero: mio padre morì; non rividi più, da solo a solo, quell'infelice, non gli diedi più alcuna speranza, gli feci sapere che non pensavo più a lui.... Tu sai il resto. Tu stesso hai detto che egli doveva finire così.

— Egli doveva finire così! — egli ripetè, ma scosse la testa e nelle sue parole vibrò un accento d’ironia.

— Che dovevo fare? — ella riprese, esaltandosi. — Dimmelo tu: che cosa dovevo fare? E bisogna che io agisca subito. Subito, Francesco, subito.

— Che puoi fare senza prove, adesso? Che cosa dirai? Come farai? Possono anche supporre che tu lo faccia per salvare zio Sorighe.