Pagina:Sino al confine.djvu/234

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a ripulir la chiesa o a rattoppare le sue vesti, rileggeva attentamente uno scartafaccio giallo e arricciato come un antico manoscritto, ov’erano raccolte le sue poesie. Egli aveva cantato tutti i più grandi avvenimenti della seconda metà del secolo XIX; aveva composto un inno a Pio IX, uno a Vittorio Emanuele, uno al bandito Giovanni Tolu ed uno a Eleonora d’Arborea; molte laudi in onore dei santi paesani e parodie giocose di laudi sacre. Aveva cantato la bellezza femminile, ma non tutti i suoi versi potevano esser letti e ripetuti dalle fanciulle. In una delle sue ultime poesie raccontava d’esser stato amato da una ricca vedova la cui figlia, morta la madre, lo aveva cacciato via di casa.

Seduto sotto una tettoja che serviva d’ingresso alla sua stanzetta di guardiano, rileggeva ad alta voce i suoi versi, e di tanto in tanto sollevava gli occhi per guardare se veniva qualcuno. Fra una quercia e una roccia, che si spingevano ad arco l’una verso l’altra, si stendeva uno sfondo grandioso e melanconico di paesaggio: il tramonto indorava le roccie, il suolo, le foglie degli alberi, coloriva di lilla e di rosso l’orizzonte, dava l’illusione del mare alla linea cerulea delle montagne lontane. Il suolo coperto di foglie secche pareva sparso di monete d’oro; i giovani elci, nello sfondo del bosco, avevano il verde tenero dogli alberi fruttiferi.