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agnello a primavera. Zio Sorighe, seguendo i consigli del pastore, se ne stava rinchiuso nella sua stanza, in mezzo al fumo che scaturiva dal focolare, scavato nel suolo, come dal buco d’un vulcano: ma una mattina, prima dell’alba, sentì una voce rauca e aspra che lo chiamava.
— Prete Felix — gridò; e non sapeva se rallegrarsi o inquietarsi.
Priamo era livido in volto e aveva gli occhi fissi e lucenti come quelli d’un pazzo. Guardò di qua e di là, come cercando di scorgere gli oggetti attraverso il fumo, e disse, porgendo un involtino al vecchio:
— Indossate il cappotto e partite subito; andrete dai vostri padroni Sulis: oggi alle undici si sposa Gavina. Ora sono le cinque: alle dieci sarete là. Voi le darete questo involtino dicendo che è un vostro regalo: dateglielo che non vi veda lo sposo. Incamminatevi perchè è tardi. Oh, non ascoltate?...
Il vecchio guardava l’involtino e gli pareva di sognare. Non gli dispiaceva di partire, ma gli destava inquietudine lo stato di Priamo.
— Com’è la strada? Come ha fatto a salire, lei? — domandò, nascondendosi l’involtino sotto il giubbone.
— A piedi. La neve è dura, c’è la luna. Camminate, — insistè Priamo, spingendolo. — Se per caso qualcuno vi domanda di me, direte che ho celebrato qui la messa, stamattina. E silenzio sul resto.