Pagina:Sino al confine.djvu/310

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— Tu anzitutto dovevi tacere, poichè la zia Itria te n’aveva pregato. Ora è fatto ed è inutile che tu pianga. Vergognati: un uomo non deve piangere così.

— Io non sono un uomo! — egli disse allora, dando sfogo a tutto il suo dolore. — In altri tempi anche «noi» eravamo uomini; eravamo ricercati per amici persino dai re e avevamo anche le case fatte apposta.... Sì, sì, me l’ha raccontato il canonico Sulis! Ma adesso! Nessuno ci può vedere.... nessuno.... nessuno!

— Perchè sei bugiardo, ecco tutto! — disse la vecchia, commovendosi. — Vieni avanti!

— Che cosa dobbiamo fare? — domandò Gavina. — Questa storia mi secca enormemente. Vedo che siamo già in molti a conoscerla.

— Io minaccerei Michela di querela! — consigliò il nano. — Oppure la bastonerei.

Ma la sua proposta, nonchè approvata, non fu neppure ascoltata; e la zia Itria riprese lo sgabello, il martello, i chiodi, e ricominciò a lavorare rabbiosamente.

— Sai cosa ti dico, nipote mia? Devi riderti di tutta questa canaglia! Io ti ho chiamato perchè schiantavo dalla rabbia, ma quasi mi pento, ora, di averti riferito questo pettegolezzo. Che importa a te di noi tutti? Tu sei una signora: noi siamo delle immondezze!

— Siamo tutti eguali, tutti soggetti all’errore, zia!