Pagina:Slataper - Il mio carso, 1912.djvu/62

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imbocca la minestra e la carne senza dir parola, sforzandoci a interessarci dei piccoli che raccontano della scuola. Si vive così da molti anni. E la mamma guarda i nostri occhi che s’abbassano come in colpa, e non può far niente per i suoi figlioli. Ella ci bacia il capo, e ci chiede scusa in silenzio.

Un giorno metteva ad asciugare alcuni panni alla stufa è piangeva. Io le chiesi: — Mamma, cos’hai? — Le chiesi ancora — essa piangeva e negava, cercava di trattenere lo spasimo, ed era stanca: — che hai mamma? perchè piangi? — Vedi, figliolo, non è niente, gli affari di babbo vanno male.

E un giorno babbo tornò da un viaggio, che era stato anch’esso inutile, e non c’era da far più nulla. Noi eravamo seduti intorno alla tavola e cenavamo. Egli entrò, ci salutò, e si sedette al suo posto. Noi tacevamo. Egli prese la forchetta e ingollò i bocconi. Ci disse: — Mangiate dunque! — La sua voce era senza tremito.

Mai ho visto piangere babbo. Gli occhi gli si incassano nelle tempie, la sua fronte si fa gonfia, ed egli sta fermo con la testa dritta in su. Egli è un uomo, non si lamenta e s’irrigidisce. Babbo m’ha insegnato a tacere e a disprezzare il dolore.

E così passarono i mesi e gli anni. E io cominciai ad amare la mia famiglia, e ero consolato ch’essa credesse in me. E mamma una sera mi disse, poggiandosi sul mio petto: — Figliolo, sono stanca, vai avanti tu.

Io amo i miei fratelli e i miei genitori perchè la nostra vita è stata dolorosa e confidente. Io vado avanti con essi e non cedo. Noi vogliamo anche noi il nostro posto. Ci hanno fatto molto male. Alcuni sono stati buoni con