Pagina:Slataper - Il mio carso, 1912.djvu/69

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Una notte, dopo qualche anno, una notte di lavoro terribile perchè era morto il papa, io fissavo la lampada a gas sul mio tavolo. Sentivo andare, borbottare, scartabellare, rombare intorno a me, sempre più lontano, lontanissimo, e pensavo, chissà perchè, a Caino e Abele. Dicevo a Dio ch’egli era molto ingiusto con Caino: perchè non accetti il suo fumo? i rami carichi di frutti e le biade non valgono l’agnello di Abele? Che male ti ha fatto egli, prima di uccidere Abele? perchè? La bibbia non dice niente. Pensai che questo poteva essere il pensiero centrale d’una tragedia, e mi misi a ridere malignamente. Io avevo già ucciso Abele.

Abele aveva teso le corde fra i corni del bufalo fucilato da me, e cantava. Io l’uccisi. Ma ora le foglie che mi toccavano erano dure e aspre di veleno come pennini. Desiderai ardentemente: — Abele Abele, se tu fossi ancora melodioso in me, in quest’ora di suprema stanchezza! Io ho voglia di veder le stelle in cielo e cantare un grande canto.

Ma mi ghignai.

L’anima mi s’era ormai coagulata per il gocciare della vita inacidita, rabbiosa, negatrice, e mi corrose in rughe la faccia, incassandosi una tana nelle occhiaie.

Non vedevo più le cose, e diedi di cozzo senza sapere in spigoli acuti onde gli altri mi credettero un eroe. Io andavo per la strada già scavata, disgustoso a me stesso, desiderando che qualcuno mi bastonasse a morte.

Una volta anche mi proposi d’uccidermi, ma davanti allo specchio non potei ammazzare l’essere maligno e iro-