Pagina:Sofocle - Edipo Re.djvu/47

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745A chi poss’io meglio che a te narrarlo,
In siffatto frangente? - A me fu padre
Polibo di Corinto, e la Dorense
Merope, madre; e de’ primieri onori
Io là godea fin che tal caso avvenne,
750Di stupor sì, ma del pensier ch’io n’ebbi
Inver non degno. In pien convito un giorno
Fra il votar delle tazze ebbro cert’uno
Supposto figlio al genitor m’appella.
Di sdegno arsi io; ma pur quel giorno a forza
755L’ira contenni: il dì seguente, al padre
Ed alla madre il querelai. L’oltraggio
Spiacque loro altamente; e ciò nel petto
Mi blandiva il rancor: ma la ferita
Pur sempre mi pungea; chè troppo addentro
760Era trascorsa. Occultamente a Delfo
Quindi men vo; ma di risposte Apollo
Non degnò mie domande: altri ben altri
Mi schiuse atroci, orridi eventi: e ch’io
Mescolarmi alla madre, e produr quindi
765Dovea prole esecranda: e ch’io del padre,
Del proprio padre l’uccisor sarei.
Udito ciò dalla Corintia terra,
Divisando con gli astri il mio cammino,
Fuggii ver dove giammai non vedessi
770Avverarsi per me di sì gran colpe
I tremendi presagi; e venni errando
Là ’ve quel sire mi narrasti ucciso. —
Donna, il vero io ti dico. Al giunger mio
Su quel triplice calle, ecco un araldo,
775Ed uom qual pingi, in cocchio equestre assiso