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Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/218

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ccvi Prefazione


La cosa si riseppe, prima della settima recita: e le risate e gli urli degli spettatori andarono alle stelle, quando Anacleto, con grande indifferenza, disse: "Un aborto me l’ha rapito.„

Ma il chiasso fu anche maggiore molti anni dopo, allorché un altro revisore, l’abate Antonio Somai, fece mutare questi due versi d’un melodramma:

Amo la patria, e intrepido
Il mio dovere adempio,

in

Amo la sposa, e intrepido
Il mio dovere adempio.

Scherzando sul cognome di questo povero abate Somai, i Romani dicevano che aveva perduto l’r; e il Giraud, per vendicarsi delle vecchie e delle nuove ridicole prepotenze della censura, scrisse contro di lui un sonetto, felice imitazione d’un altro del Fagiuoli, e che corse per tutta Roma:

     Del sommo Pietro, Adamo del Papato,
Puoi dirti, Abate mio, fratel cugino:
Abbietto nacque Pietro, e tal sei nato;
Pietro pescò nell’acqua, e tu nel vino.
     Peccò con la fantesca di Pilato
E ne pianse col gallo mattutino:
Tu, con le serve altrui quand’hai peccato.
N’hai pianto col cerusico vicino.
     Pietro irato fe’ strazio agli aggressori
D’un solo orecchio; ma tu sempre, il credi,
Ambo gli orecchi strazi agli uditori.
     Giunto alfin Pietro ove tu presto arrivi,
Pose nel luogo della testa i piedi;
E com’egli morì, così tu vivi.