Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/264

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cclii Prefazione

Uno solo accenna di voler arrivare in porto felicemente, e, per una singolare combinazione, è l’ingegnere Luigi Ferretti, fratello della defunta moglie dell’unico figlio, pur esso defunto, del Belli.

Padre del nostro Ferretti fu quel Giacomo, che scrisse una quantità straordinaria di prose e poesie d’ogni genere e più di ottanta melodrammi per il Rossini, il Donizetti, il Coppola, i fratelli Ricci, il Mayr e altri maestri, e che Massimo D’Azeglio1 mette tra gli "alti e belli ingegni„ della società "sveglia, piena di vita e di movimento,„ che fioriva a Roma nel 1814. "Alla generazione di quell’epoca„, dice argutamente il D’Azeglio, "Napoleone aveva fouetté le sang; e non rassomigliava punto a quel tipo lumaca che ha fiorito poi per tanti anni tra noi, all’ombra dei cappelloni dei gesuiti, e dei troni e tronini e tronucci dei principotti austro-borbonico-italiani; che Dio conceda pace all’anima loro. Ed io,„ continua il D’Azeglio, "in quest’ambiente gaio, bevevo avidamente, come dice non so che poeta, l’aura d’una vita nuova tutta immaginosa, e mi pareva finalmente d’esistere.„ In questa gaia società, il Ferretti padre si strinse col Belli in tale amicizia, che durò più di quarant’anni e non finì neppur con la vita. Nato nel luglio del 1784, il Ferretti aveva sett’anni più del Belli, e morì il 6 marzo del 1852, undici anni prima di lui. Poco dopo, il Belli lo rimpiangeva in un sonetto, che è de’ migliori che abbia scritto in italiano, e che lesse in Arcadia, nella adunanza necrologica tenutavi per onorare la memoria del Ferretti:

   È già compiuto il quadragesim’anno
Dacché l’uom ch’io rimpiango e benedico
Tutto di cuor mi si profferse amico,
Non pur con labbra siccome altri fanno.


  1. I Miei Ricordi, cap. IX.