Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/273

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Prefazione cclxi


anche il curato, da buon Romanesco, ci ha le sue. Quando Peppetto gli domanda che cosa significa la parola adulare, egli, conoscendo i suoi polli, dice:

. . . . . . . . . . Eh, questo qui è ’n affare,
     Che nu’ lo so manch’io si sia peccato;
Anzi, si t’ho da dì er pensiero mio.
Qui er Belarmino dev’ave sbajato.
 (lxii.)

E dopo aver detto col catechismo che l’estrema unzione aiuta anche a riacquistare la sanità del corpo, se Dio crede che questa sia utile alla salute dell’anima; siccome Peppetto vuol sapere che cosa accade se Dio crede diversamente, egli, seccato, risponde:

. . . . . . . . . . E allora poi st’untata
Je dà ’na spinta pe’ mori più presto.
 (lxxvii.)

Ad accrescere varietà e ridicolo vengono gli spropositi; giacché, per esempio, il nostro Peppetto muta l’eucaristia in carestia; e leggendo la parola fornicazione, vuol saper dal curato come c’entri er forno. I misteri gaudiosi del rosario sono per lui misteri da ride; sente chiamar novissimi la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso, e afferma con gran sicurezza che qui il Bellarmino ha sbagliato, perchè queste cose so’ più vecchie der brodetto; legge nel catechismo che Dio "ci vuole.... mondi, non solo nell’esteriore, ma anche nell’interiore,„ e lui intende:

     Che nun abbasta do lavasse er viso,
Ma s’ha d’avé pulite le budella,
P’annà, che Dio no scampi, in paradiso.
 (lxiii.)

Come si vede anche da questi pochi saggi, al Ferretti non manca una ricca vena satirica; e se teniamo