Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/274

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cclxii Prefazione


conto delle gravi difficoltà che avrà dovuto superare per comporre cento sonetti sopra un solo argomento, possiamo giustamente salutarlo poeta. Ma io non devo nascondere che nella Duttrinella mi par che ci sia un grave difetto: il personaggio sbiadito e inconcludente di Pippo, il quale, o non doveva entrare in iscena, o, entratovi, doveva farci qualche cosa, e non starci per mero riempitivo. Bello invece per tutti i versi è il carattere di don Ghetano, che si rivela intero in quelle parole: Si sapessi che noja a fà er curato!..., e non si smentisce mai. Bello del pari quello di Caterina, la quale comparisce poche volte, ma è sempre lei fino all’ultimo, la serva padrona e miscredente, appunto perchè serva di prete. E a lei, con felice pensiero, il Ferretti ha riserbato l’onore di chiudere il poemetto. — La spiegazione della dottrina è terminata, e il ragazzo dice:

E mo c’è ’r Fine.

D. G.   Aringrazziam’Iddio,
Che se la séme levata datorno.
Caler, Don Ghetano, è sonai» mezzoggiorno.
D. G. Nu’ l’ho sentito.
Cater.   L’ho sentito io;
Sbrigàteve.
D. G.   Mo vengo. — Fijo mio,
Làssem’annà.
Pèppe.   Ma diteme: aritorno?
D. G. Si, pòi torna sicuro ... un artro giorno.
Cater. Be’, je la famo?1
D. G.   Nu’ la senti? ... Addio.
Saluta Pippo, sai? e ’n’artra vòrta
Poi, t’arigalerò ’na coroncina.
Pèppe. V’aringrazzio.
D. G.   E de che? Chiudi la porta.
Cater. Oh! mancomale!
D. G.   E che c’è, Caterina?

  1. Gliela facciamo? Cioè: “ci sbrighiamo, si o no?„