Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/283

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Prefazione cclxxi


     Quer che m’ha fatto fatica st’inverno!
Manco m’avessi1 preso pe’ facchino.
E po’ ’n’aria, perdio, ch’er Padreterno
Appett’a lui divent’u’ regazzino.
     Adesso?! Già ciò2 quarche cosa in vista,
Ma casomai che fussi un po’ spallata,
C’è la cariera mo der giornalista.
     Le cianche3 ce l’ho svérte, un bèr vocione,
S’ariccapézza ’na bona giornata,
E poi, si nun fuss’artro, la struzzione!

Qui non c’è nulla di rubacchiato al Belli, e c’è tutta l’arte sua. C è l’unità rigorosa del componimento, il quale vi sta davanti come un piccolo tutto, armonico e compiuto, col suo principio, il suo svolgimento, il suo fine. C’è la metà del dialogo felicemente sottintesa, poiché alle prime parole voi capite subito che un amico del servitore, incontrandolo, gli ha domandato se gli sia rincresciuto che il padrone l’abbia cacciato via; e quando il servitore dice: Adesso?!, voi capite del pari, che l’altro deve aver detto: — E adesso, che farai? — Il carattere del protagonista, fuggifatica e presuntuoso, è lampante. Lingua e costrutti perfettamente romaneschi; e romaneschi e bellissimi i particolari che dan vita al quadretto, come il ravvicinamento del Padreterno col regazzino, la gravità comicamente misteriosa di quel Già ciò quarche cosa in vista; il doppio senso della parola cariera; lo sproposito, malizioso per conto dell’autore, ma popolarissimo, del giornalista, che ricorda il piccolo Oreste della Quaderna di Nanni del mio Carrera; e finalmente il tono serio della ridicola chiusa, fatta anche più ridicola dallo storpiamento struzzione, il quale par che derivi non

    lo avverte più volto espressamente. (V. vol. IV, pag. 88, nota 7; vol. V, pag. 138, nota 2; ecc.)

  1. M’avesse.
  2. Ci ho.
  3. Le gambe. E l’usano familiarmente anche i Fiorentini.