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Prefazione cclxxvii


come è anche il Fucini, il quale. ha saputo applicarla al dialetto pisano. Quindi l’opera del Ferretti non è un’inutile ripetizione; ma aggiunge nuove scene all’immenso e pur sempre incompiuto dramma, composto dal poeta romano.

VII

Da quando io scrivevo così intorno ai discepoli del Belli, il loro numero s’è accresciuto, e nel romanesco e negli altri dialetti; sicché oramai ce n’è in ogni regione d’Italia.

In romanesco, pochi ma buoni i sonetti del Pascarella; de’ quali però a me paiono, nel loro complesso, riusciti men bene que’ venticinque su Villa Gloria, non tanto perchè urtano spesso contro la realtà storica troppo nota del fatto glorioso, quanto perchè spesso vi è violentato il dialetto, e vi sono qua e là pensieri e immagini non popolari. Buone anche parecchie delle molte, delle troppe cose dello Zanazzo.

Ma tra tutti i discepoli del Belli, il più famoso e il più letto è senza dubbio il Fucini. Se non che, Edmondo De Amicis nega recisamente la derivazione del Fucini dal Belli, affermando d’esser "certissimo„ che il poeta toscano non avesse “ancora letto un solo sonetto del poeta romano, quando giravano già per Firenze più di cinquanta de’ suoi„.1 E così il Belli perderebbe un figliuolo, di cui andava giustamente orgoglioso; e qualcosa perderei anch’io, che credevo quasi d’averlo tenuto a battesimo. Esaminiamo dunque attentamente la fede di nascita.

  1. Prefaz. allo Poesie del Fucini; 6° diz.; Pistoia, 1885; pag. 11.