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Sonetti del 1827 11

rono due brutti componimenti, il primo un sonetto contro le donne, e il secondo un capitolo sulla fuga in Egitto in cui la Madonna era chiamata Vergin cruda.      4 [Appoggiargli: affibbiargli.]      5 [La replica.]      6 [Capre, bestie.]      7 [Kyrie eleison.]      8 [Se le vadano a mangiare bell’e monde, bell’e sbucciate: vadano al diavolo.]      9 [Non ci abbozziamo: non ci abbiamo pazienza.]      10 [Da ghianda, da porci.]      11 [Partirci: metterci a far le cose. Cfr. vol. VI, pag. 208, nota 5.]      12 [Facciamo buca: facciamo un buco nell’acqua.]      13 [Lo zero di questo 1820 è correzione di un’altra cifra che non si legge più.]



A LA SORA TÈTA CHE PIJJA MARITO.

SONETTO.1

     Coll’occasione, sora Tèta mia,
D’arillegramme che ve fate spósa,
Drento a un’orecchia v’ho da dì una cosa
4Pe’ rregalo de Pasqua Bbefania.

     Nun ve fate pijjà la malatia
Come sarebbe a dì d’èsse gelosa,
Pe’ nun fà come Checca la tignosa
8Che li pormoni s’è sputata via.

     Ma si piuttosto ar vostro Longarello
Volete fà passà quarche morbino2
11E vedello accuccià come un agnello;

     Dateje una zeccata3 e un zuccherino;
E dorce dorce, e bèr bello bèr bello,
14Lo farete ballà sopra un cudrino.

[1827.]


  1. Questo e il seguente sonetto furono da me spediti a Milano al signor Moraglia mio amico il 29 dicembre 1827, onde da lui si leggessero per ischerzo nelle nozze del comune amico signor G. Longhi con la signora Teresa Turpini, cognata del Moraglia.
  2. [“Capriccio„ come il veneziano morbin.]
  3. [Biscottino o buffetto, a Firenze; pitìcco nell’Umbria.]