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Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/504

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192 Sonetti del 1831


11 L’emissario del Lago Albano. Chi lo visita, si diletta di mandarvi dentro dei moccoletti accesi sostenuti da pezzetti di legno galleggianti sull’acqua che vi s’interna.



LE COSE NOVE.

     Ma ttutte ar tempo nostro st’invenzione?!
Tutta mo la corona je se sfila!1
Per viaggià ssolo2 sce ne so’3 tremila!
Pell’aria abbasta de gonfià un pallone;

     Pe’ tterra curri scento mijja in fila,
Senza un c....4 cavalli né ttimone;
Pe’ mmare sc’è una bbarca de carbone,
Che sse5 spiggne cór fume de la pila.6

     Ma in quant’ar mare, io mo dimanneria7
S’oggi un cristiano co’ st’ingegni novi
Pòzzi scampalla8 de finì in Turchia.

     Perché cquer palo che llaggiù tte covi9
Poderebbe sturbatte10 l’alegria.
Ggià, ppaese che vai11 usanza che ttrovi.12

Roma, 17 novembre 1831.

  1. Sfilar la corona: metter fuori tutto di seguito.
  2. [Solo per viaggiare.]
  3. Ce ne sono.
  4. Affatto.
  5. Si.
  6. [Pentola.]
  7. Dimanderei.
  8. Possa scamparla.
  9. Ti covi. Covare, per “avere sotto.„
  10. Potrebbe sturbarti.
  11. Aiu: trittongo alla maniera dei classici che fecero altrettanto; per esempio: Monosillabo: “un paio di calze di messer Andrea„ (Berni); Dissillabo: “Farinata e ’l Tegghiaio che fûr sì degni„ (Dante); Trisillabo: “Non sia più pecoraio, ma cittadino„ (Berni); “Perch’io veggio il fornaio che si prolunga„ (Della Casa); Quadrisillabo: “Con un rinfrescatoio pien di bicchieri„ (Berni), ecc.
  12. [Paese che vvai, usanza che ttrovi. Proverbio.]