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Pagina:Sonetti romaneschi II.djvu/99

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Sonetti del 1832 89

LA FACCIA D’AFFOGATO.[1]

     Ch’edè sta mutria,[1] tisichello marcio,
Grugno de san Giascinto-a-bbocca-sotto?[2]
O mmamma mia, che cciurma![3] Oh cche scacarcio!
Pe’ ccarità, cché mmé la faccio sotto.

     Co’ tté, ppe’ ffàtte in de la panza un scuarcio,
Pe’ vvedemmene bbene crud’ e ccotto,
Guarda, nemmanco me ce sprego un carcio:
M’abbasta un fischio, una scorreggia, un ròtto.[4]

     Ner mentre sta frittura de cazzetti[5]
Se ne viè co’ ’na patina[6] da orco,
Je se piegheno intanto li maschietti.[7]

     Ma io m’ingegno a mmaneggià li fusi:[8]
So’ nnato in carnovale, e nnun me storco
La bbocca dietro pe’ li bbrutti musi.[9]

9 febbraio 1832.

  1. 1,0 1,1 Viso dell’armi. [Mutria manca per mera svista al Rigutini-Fanfani, giacchè è d’uso comune anche in Toscana, e l’adoperarono il Pananti, il Giusti, il Manzoni.]
  2. Nome che si dà a gente di cera brutta e malaticcia. Nell’ospedale di Santo Spirito, la corsia di S. Giacinto è destinata ai tisici.
  3. Vedi la nota 1.
  4. Coll’o larga, “rutto.„
  5. Ragazzi od uomini equivalenti.
  6. Cera affettata.
  7. Le ginocchia.
  8. Coltelli.
  9. Chi è nato di carnevale, non ha paura di brutti musi. Proverbio usatissimo in consimili circostanze. — Storco, ecc.: torcere la bocca per lo spavento.