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Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/128

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118 Sonetti del 1833


ER PRETE AMMALATO.

     Dico: “Ch’edè,1 rregazze, che ccurrete2
Cór piant’all’occhi e li capelli sparzi
Pe’ la fanga de Roma a ppiedi scarzi
Rescitanno er rosario?3 eh? ccos’avete?„

     M’arisponne una: “Sta mmorenno un prete,
E nnoi pregam’Iddio; perché ppò ddarzi4
Ch’in grazzia de Maria lui s’ariarzi
San’e ssarvo: e pperò nnun me tienete.„5

     M’avessi6 detto un capo de famijja,
M’avessi detto er padre, er zu’ dolore
M’averìa7 fatto dì8 ppovera fijja!

     Ma ss’ha da piaggne9 perchè un prete more?!
Pe’ mmé,10 ppòzzi11 morì cchi sse ne pijja,12
E ssii fatta la grolia13 der Ziggnore.

24 novembre 1833

  1. Che è?
  2. Correte.
  3. Si vede in Roma quest’uso, che riusciti inefficaci i soccorsi della medicina e principiandosi a curare un infermo con le divozioni, mandansi di notte delle donne scalze recitando il rosario della Vergine. S’intende già che questa modificazione di prefiche vende l’orazione ed il pianto.
  4. [Può darsi.]
  5. Non mi trattenete.
  6. Mi avesse detto.
  7. Mi avrebbe.
  8. Dire.
  9. Da piangere.
  10. In quanto al mio avviso.
  11. Possa.
  12. Chi se ne piglia: chi ne prenda pena.
  13. Sia fatta la gloria ecc.